Trump e i tagli all’USAID: sull’austerity aveva avvertito. Ma il ruolo di leadership ora è in discussione

C’è un tema tracciato in rosso nell’agenda globale. Sta lì a ricordare a tutti che la cooperazione non è un fine, un progetto con il suo bravo bonus da incassare, ma uno strumento. Se, come sembra, dobbiamo fare i conti con un nuovo ordine mondiale, bisogna allora capire in fretta quale sarà il nuovo ruolo della cooperazione e dello sviluppo internazionale. Quanto spazio, quanta attenzione e, inutile girarci intorno, quanti soldi continueranno a essere investiti in quei progetti che fino a oggi hanno supportato interi paesi e comunità.

La prima bozza di risposta a questa domanda non è di certo incoraggiante. Perché il taglio disposto dall’amministrazione Trump ai fondi di USAID, cioè all’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, rappresenta un colpo molto serio al lavoro che si svolge in questo settore a livello planetario. Parliamo di sessanta miliardi su duecentotrenta che sono stati congelati e, di fatto, sottratti all’infinita serie di programmi indirizzati allo sviluppo e alla cooperazione. Una cifra che per il momento non uccide il sistema, ma che innegabilmente lo colpisce duramente, al punto da giustificare una serie di riflessioni sul ruolo che gli stessi Stati Uniti vorranno avere nel “nuovo mondo” che sta prendendo forma.
Il tema, a questo proposito, è a mio parere quello di una rimodulazione del ruolo di leadership globale che tradizionalmente gli americani hanno interpretato e del quale Trump sta forse sottostimando il valore in termini sia politici che diplomatici.

Se ci limitassimo a considerare questa mossa nell’ottica di una più ampia – ed effettivamente in corso – operazione di spending review, potremmo dircene sicuramente meno preoccupati. Il Tycoon aveva ben avvertito in campagna elettorale che la sua presidenza sarebbe stata caratterizzata sotto questo aspetto da un’inedita austerity, e una singola – sia pur importante – operazione potrebbe non essere sufficiente a lanciare l’allarme di un radicale cambio di rotta e di un diverso livello di coinvolgimento sul tema della cooperazione multilaterale e del sostegno allo sviluppo. Se invece si tratta del primo passo verso una nuova strada, inspirata al disimpegno e ripiegata su un protezionismo poco lungimirante, allora gli effetti non tarderanno a farsi sentire a livello globale: prima in ogni angolo del mondo dove l’impegno statunitense ha molto giovato (e dove forse anche troppo a lungo si è dato per scontato) e poi, di ritorno, negli stessi Stati Uniti che, giocoforza, si troveranno spogliati di quell’abito scintillante di cui lo zio Sam per tanti decenni ha fatto munifico sfoggio.
Purtroppo, altre decisioni assunte nelle ultime settimane, sembrano indicare la peggiore delle due ipotesi. Per capirci, il taglio dei fondi di USAID e l’inasprimento dei dazi internazionali, rappresentano due decisioni completamente indipendenti l’una dall’altra, ma il combinato disposto dalle due iniziative inevitabilmente sintetizza una linea politica chiara, a suo modo anche coerente, ma certamente preoccupante.

Se gli Stati Uniti realmente abdicheranno al ruolo che fin qui hanno avuto nel sostegno allo sviluppo e alla cooperazione, di fatto rinunciando a quella leadership del mondo libero che hanno sempre orgogliosamente rivendicato, allora bisognerà che Trump riveda anche il suo principale obiettivo elettorale. Perché la Grandezza di cui tanto ha parlato presto sembrerà al mondo – e agli stessi americani – molto più piccina.

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