Troppi suicidi in divisa. Un’emergenza che passa in silenzio

La vicenda della giovane allieva della Scuola Marescialli di Firenze dell’Arma dei Carabinieri che si è tolta la vita, oltre alla tristezza per la gravissima perdita, solleva inevitabilmente una serie di interrogativi e giustifica una riflessione sul contesto in cui questa tragedia si è consumata.

Le indagini sono in corso e faranno luce su ogni aspetto controverso, ma il tema è così delicato che non si può consentire anche la più flebile ragione di incertezza.
C’è un dato, infatti, che suscita sgomento e che non può essere lasciato passare nel silenzio: sono quasi trecento le donne e gli uomini in divisa che nel nostro Paese si sono suicidati dal 2019 al 2023. Un numero altissimo di vite interrotte che, trattandosi di persone che avevano scelto di servire lo Stato, ancor più rappresentano una perdita collettiva.

Da più parti, a proposito della triste storia dell’allieva di Firenze, si è fatto riferimento a un necessario ammodernamento del sistema militare nel suo complesso. Può esser vero, poiché come ogni altra struttura dello Stato anche questo dovrebbe poter recepire il cambiamento dell’epoca e della società, abbandonando metodi e procedure che ora possono apparire fuori del tempo e risultare intollerabili non solo all’interno ma anche al giudizio dei cittadini.

Quest’ultimo è un punto importante perché la fiducia delle persone nei corpi militari e di pubblica sicurezza deve poter essere completa e senza ombre, e inevitabilmente questi devono non solo essere ma anche apparire consapevoli dei mutamenti che interessano la società, riuscendo a scardinare quell’odioso meccanismo ideologico che rende i servitori dello Stato degli eroi a giudizio di alcuni e dei nemici per altri. Laddove le forze dell’ordine dovrebbero essere percepite come un punto di riferimento affidabile e costante per ogni italiano.

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