Ciclicamente ci troviamo a discutere della situazione delle carceri italiane e della preoccupazione che destano sotto il profilo dei diritti umani per le condizioni in cui vivono i detenuti e che affrontano gli agenti di Polizia Penitenziaria.
Il fatto che se ne discuta è ovviamente positivo perché si evidenzia che il problema è riconosciuto bene o male da tutti e che esiste una volontà diffusa di intervenire per porvi rimedio.
Fin qui andrebbe tutto bene, se non fosse per il fatto che tutto questo lo abbiamo già visto molte volte, con crisi del sistema carcerario che a più riprese sono state affrontate sempre in modo isolato ed emergenziale.
Le misure una tantum, al di là del giudizio che si può averne e della volontà politica di adottarle, tuttavia, non risolveranno mai il problema e resteranno sempre una fragile toppa pronta a saltare al prossimo picco di pressione del sistema carcerario. Hanno senso, dunque, e si possono considerare solo nel contesto di un piano ampio e ben congegnato che scongiuri definitivamente il pericolo di una nuova “emergenza carceri” che, presto o tardi, tornerebbe altrimenti a presentarsi.
Quello delle carceri è un tema che coinvolge principi importanti, fondativi del civile andamento della società: quello della certezza della pena e della sicurezza dei cittadini, quanto quello del pieno rispetto dei diritti dei detenuti e degli operatori carcerari. Sono principi che dobbiamo smettere però di leggere in contrapposizione, perché non lo sono: tutto questo, infatti, dobbiamo farlo funzionare bene nel suo complesso.
Ancora una volta, occorre coraggio, sguardo lungo e la consapevolezza che la tutela dei diritti non potrà mai essere un argomento a vantaggio di una parte e a svantaggio di un’altra. Ogni diritto giova a tutti.