Mi domando che ricordo porteranno con sé i turisti che vagano in questi giorni per le strade di Roma. Chi arriva nella Capitale deve mettere in conto un’esperienza ricca di contrasti, perché gli capiterà di vedere gli scorci urbani più belli del pianeta, ma dovrà pure farlo evitando di cadere nella sporcizia, sopportando il puzzo di una città fatiscente e abbandonata a sé stessa.
La storiella del fascino della Roma decadente, che sempre così è stata e così sarà sempre, non mi è mai andata giù, e non deve andarci giù. Perché non è scritto da nessuna parte che deve andare in questo modo. Nessuno ci ha condannati a un destino di incendi quotidiani che appestano l’aria, come nessuno può convincerci che le gang di pericolosi delinquenti che spadroneggiano sui bus e nelle metropolitane siano normali.
Su Roma c’è una cappa di inedia, accidia, stafottenza, sudiciume e pericolo: un cocktail micidiale che avvilisce e umilia la città più bella del mondo. Chi guida il Campidoglio fa affidamento sul fatto che i romani siano abituati a tutto questo e scommette sulla probabilità che chi passa di qui, in ogni caso, resterà sempre più colpito dai marmi di Bernini o dai fori che dalla puzza e lo sporco in cui sono immerse queste bellezze.
Poi però qualcuno viene pestato per un orologio, qualche altro picchiato per un portafoglio, e un altro ancora, dopo aver atteso due ore per un taxi, si rende conto che nella sua foto ricordo c’è più pattume che antichità. E allora la favoletta scricchiola e i nodi vengono al pettine. Ed è lì che chi governa la Capitale deve dare conto, spiegando cosa sta facendo. Sempre che stia facendo qualcosa.